LEGGO IL TESTO
Dal Vangelo secondo Giovanni 10,11-18
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Liturgia della Parola: https://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20240421.shtml
MI LASCIO ACCOMPAGNARE NELLA MEDITAZIONE
Il brano del vangelo di questa V domenica di Pasqua (Gv 15,1-8) ci presenta la metafora di Gesù vite e di noi tralci, e ci dice in che cosa consiste la comunione con lui; mentre domenica prossima (Gv 15,9-17) ci verrà spiegato come questa comunione con lui in realtà consiste nell’amare i fratelli.
Gesù utilizza questa metafora della vigna, non per dire: “Io sono la vigna”, ma: “Io sono la vite”. Si passa dal collettivo, la vigna, che è il popolo, alla vite, all’unico che porta frutto.
Come Gesù è la fonte dell’acqua viva e il pane disceso dal cielo, così la vite è dispensatrice di vita. Ma mentre le metafore dell’acqua e del pane implicavano delle azioni esterne: uno doveva bere l’acqua o mangiare il pane per avere la vita; nella vite l’immagine è più intima: uno deve rimanere in Gesù come un tralcio rimane sulla vite per aver vita.
Che bello, carissimi fratelli e sorelle, è necessario rimanere in Gesù per portare frutto. Ed è proprio su questo verbo che desidero soffermami brevemente.
Il verbo rimanere è usato diverse volte (nel vangelo di Giovanni e in particolare nel capitolo 15) e questo fa comprendere che è il tema dominante.
Per l’uomo, rimanere significa tenersi attivamente fermo a ciò che è stato fatto nel passato, comprenderlo nel presente e vedere il futuro in funzione di esso. È proprio in questo senso che il credente rimane nella parola, nell’amore, nella luce, in Dio.
Al contrario, per Gesù, rimanere esprime la fedeltà a Cristo nel quale i doni di Dio sono accordati per sempre.
Il centro della nostra vita di credenti e di tutta la nostra azione è di rimanere in Gesù, essere uniti a lui, perché ognuno produce secondo ciò che è: se è unito a Cristo, produci i suoi stessi frutti, se è unito al mondo produce frutti mondani.
La vite e il tralcio hanno la stessa linfa, la stessa vita; il tralcio non può produrre se non è unito alla vite; così noi se non siamo effettivamente uniti a Gesù con la stessa vita, con la stessa linfa, lo stesso Spirito, con lo stesso amore che ha lui, siamo secchi, siamo morti.
Allora, carissimi, se si resta attaccati a Gesù si porta molto frutto, cioè il suo stesso frutto, si ha la sua stessa vita di Figlio, il suo stesso amore per il Padre e per i fratelli, perché senza di lui non possiamo fare nulla.
Quindi se restiamo in lui portiamo molto frutto, dando vita, amore, e godendo gioia, comunione.
Cosa significa portare frutto?
Spontaneamente si tende a pensare in termini di opere buone. Il portare più frutto è simbolo del possedere la vita divina, che si traduce nell’unione con Gesù, senza dimenticare che questo portare frutto implica implica la comunione con i fratelli.
Quindi non basta essere cristiani, non basta credere in Gesù e neanche amarlo; bisogna produrre frutto, ovvero amare il prossimo. Se non si ama concretamente il prossimo, non si ama il Signore che ha dato la vita per i fratelli. Senza questo amore dei fratelli si può essere battezzati ed essere rami secchi che vanno bruciati. Quindi si può tragicamente essere cristiani senza portare frutto, essere cristiani di nome e non di fatto.
I rami secchi vengono raccolti, gettati nel fuoco, bruciati. Tutto ciò che non è amore, che non è in Dio, è paglia che brucia, non ha valore, anzi è morte tutto ciò che non è nell’amore.
Lasciamoci potare dal Padre, non è un momento tragico, forse si di sofferenza, ma è anche e sopratutto un momento gioioso, perché significa che finalmente stiamo abbandonando tutti i nostri rami secchi, cioè stiamo risorgendo dalla morte per essere resurrezione. Uomini credenti vivi, che portano frutto, quello del Padre.
Carissimi, al termine della vita terrena ci verrà chiesto non se abbiamo semplicemente amato, se siamo stati buoni, generosi, bravi, ma se il nostro frutto, l’amore, la generosità, il perdono è quello di Gesù Cristo.
di Padre Walter Vinci MI
ESERCIZIO PER L’ANIMA
Portare frutto… cosa significa per me?
Com’è il mio rapporto con Cristo?
PREGHIERA
Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre!
Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli.
A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.
Ma io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!».
Salm0 117