LEGGO IL TESTO
Dal Vangelo secondo Giovanni 13,1-15
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
Liturgia della Parola: https://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20230406.shtml
MI LASCIO ACCOMPAGNARE NELLA MEDITAZIONE
Carissimi amici,
con la Messa Vespertina del Giovedì Santo, la Chiesa dà inizio al Triduo pasquale e fa memoria di quell’ultima cena in cui il Signore, nella notte in cui veniva tradito, amando sino alla fine i suoi che erano nel mondo, offrì a Dio il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino e li diede agli Apostoli e ai loro successori nel sacerdozio di farne l’offerta.
Siamo chiamati a staccare lo sguardo da noi stessi e a “tenere fisso lo sguardo su Gesù” (cf. Eb 12,2), cerchiamo soltanto che i segni della passione di Cristo siano impressi nel nostro corpo.
In questa celebrazione vengono ricordati: tre grandi misteri: l’istituzione dell’Eucarestia, l’istituzione dell’Ordine sacerdotale e il comando del Signore sulla carità fraterna.
Desidero soffermarmi brevemente su questi tre grandi misteri:
1. L’istituzione dell’Eucarestia
L’eucaristia ci narra il dono della vita da parte del Signore Gesù, ma si fa anche esigenza per noi affinché anche noi doniamo la vita per gli altri.
Colui che ha detto: “Questo è il mio corpo”, è lo stesso che ha detto: “Ciò che avete fatto al più piccolo, l’avete fatto a me” (cfr. Mt 25,40).
“Il corpo di Cristo”, ripetiamo in ogni celebrazione eucaristica. Quanto è importante dire e credere questa parola. Crederla con piena adesione non solo quando innalziamo il pane eucaristico o lo adoriamo, ma anche quando con le mani tocchiamo un povero, abbracciamo un malato, accarezziamo un bisognoso, un sofferente…
Ecco il corpo di Cristo, anzi ecco la carne di Cristo! Nell’eucaristia – diceva p. Pedro Arrupe – noi riceviamo il corpo di Cristo che ha fame, il corpo di Cristo che è oppresso e perseguitato, il corpo di Cristo che soffre di malattia e di abbandono.
Quando riceviamo il pane e il vino nella nostra bocca, riceviamo coloro che vengono a noi e chiedono giustizia, aiuto, amore concreto!
Carissimi amici, finché il povero è nel mondo e non alla nostra tavola, la nostra celebrazione eucaristica è in qualche misura incompleta, mancante.
Ecco perché Paolo dice ai cristiani di Corinto: “Perché mangiate il pane e bevete dal calice senza riconoscere il corpo di Cristo che sono i poveri, il corpo di Cristo che è il corpo del tuo fratello, della tua sorella?” (cf. 1Cor 11,29).
Al riguardo, Giovanni Crisostomo afferma: Fratelli, sorelle, se volete essere sacerdoti del Signore, praticate la condivisione dei beni. Se vuoi vedere l’altare, guarda alle membra di Cristo. Il corpo del Signore, corpo dei fratelli poveri e ultimi, è per te l’altare: veneralo! È più importante l’altare dei poveri che l’altare del culto. L’altare dei poveri non tiene su di sé il corpo di Cristo, ma è il corpo di Cristo. Vuoi onorare l’altare? Per strada, quando incontri un bisognoso, quello è l’altare su cui celebrare la liturgia della condivisione, dell’amore concreto, della comunione (cf. Omelie su 2Cor XX,3; PG 61,540).
Solo così l’eucaristia diventa il luogo in cui cadono tutte le barriere tra gli esseri umani, quelle barriere che Gesù con la sua morte distrusse per tutti. Sì, solo davanti all’eucaristia, occorre “esaminare se stessi” (cfr. 1Cor 11,28) per sapere se riusciamo a discernere o no il corpo di Cristo, se siamo capaci o no di farci carico della carne di Cristo che sono i poveri, i bisognosi, semplicemente l’altro, anche quello con cui non siamo in pace.
2. L’istituzione dell’Ordine sacerdotale
“Non vi chiamo più servi, ma amici”.
In queste parole del Vangelo di Giovanni (Gv 15,15), si potrebbe addirittura vedere l’istituzione del sacerdozio. “Essere sacerdote significa diventare amico di Gesù Cristo, e questo sempre di più con tutta la nostra esistenza” (cfr. Benedetto XVI).
Essere amico di Gesù significa essere uomo di preghiera perché il Signore ci affida tutto; ci affida se stesso. Essere amico significa comunanza nel pensare, comunanza nel volere, comunanza nell’agire.
Ciò significa che dobbiamo conoscere Gesù in modo sempre più personale, ascoltandolo, vivendo insieme con Lui, trattenendoci presso di Lui.
Essere sacerdoti significa essere presenza reale di Gesù Cristo. Come Lui ha assunto la nostra carne anche noi siamo chiamati a dargli la nostra carne per essere presenza reale nei fratelli.
3. La carità fraterna
È rappresentata dal gesto della Lavanda dei piedi. “Si alzò da tavola, depose le vesti”, con san Paolo nell’Inno ai Filippesi diciamo:” Egli, pur essendo di natura divina… umiliò se stesso, spogliò sé stesso, assumendo la forma di servo”…
Cari amici, la Chiesa ha voluto che chi presiede questa celebrazione lavi i piedi ai suoi fratelli.
Occorrerà forse che anche noi abbiamo l’audacia di cambiare questo rito e di riportarlo al comando di Gesù, quello di lavarci i piedi gli uni gli altri.
Lavare i piedi è un’azione scandalosa. Lavare i piedi è gesto che spetta allo schiavo: qui è il Signore che lo compie. “Se io, il Signore e il maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio perché, come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,14-15).
Il gesto che Gesù ha compiuto nel lavare i piedi ai discepoli è un gesto umano, umanissimo, e indica nel quotidiano il luogo in cui l’eucaristia diviene vita, esistenza, realtà, non semplicemente rito. Siamo chiamati, sopratutto noi consacrati, ad accogliere questo sacramento non solo come un segno, ma come grazia prodotta dal sacramento nella quotidianità della nostra vita.
Chiediamoci: è un gesto che compie lo schiavo o colui che ama? Gesù compie questo gesto per narrare l’amore che lo rende servo dei suoi discepoli. Lavando loro i piedi Gesù continua a fare ciò che sempre ha fatto: amare, amare il prossimo: “li amò sino alla fine” (Gv 13,1). Li ama con perseveranza. Li ama anche quando si mostrano decisamente poco amabili, come tante persone che ci circondano: tra loro si fa spazio il tradimento (Giuda – cfr. Gv 13,2), il rinnegamento (Pietro – cfr. Gv 13,38), l’incomprensione. Li ama fino al punto di non ritorno, fino a donare la vita.
Carissimi amici, ciò che potrebbe sembrare, come la lavanda dei piedi, debolezza, timidezza è invece forza e gloria: la gloria di amare. Nessuno ci può impedire di amare.
Anche noi siamo chiamati a deporre le vesti dell’orgoglio, della presunzione, del narcisismo, del non perdono; di cingerci il grembiule dell’umiltà, della gratuità, dell’amore e versare l’acqua della misericordia sui piedi di coloro che abbiamo offeso e che ci hanno offeso, sui piedi di coloro che abbiamo deluso e che ci hanno deluso, sui piedi di coloro che hanno tramato vendetta e che tramiamo vendetta, sui piedi di coloro che nutrono risentimento nei nostri confronti, sui piedi di coloro che non riusciamo ad incontrare per amare nella verità.
Abbiamo bisogno di imparare da lui ad affrontare anche le nostre passioni, i crogiuoli in cui la vita ci induce.
La passione di Cristo che noi celebriamo non è estranea alle nostre passioni, ai travagli del nostro mondo, delle nostre comunità, di ciascuno di noi.
E noi vogliamo vivere questa Pasqua non come fuga da ciò che ci circonda – e che forse mai come in questo momento vorremmo non vedere – ma consapevoli del momento. Altrimenti quello che celebriamo non sarebbe la Pasqua del Signore, ma un allucinogeno o un anestetico.
Noi vogliamo invece vivere la Pasqua del Signore al cuore delle nostre contraddizioni e dei nostri travagli.
Vogliamo celebrarla e ascoltarla… ascoltarne il messaggio proprio lì, nel cavo delle nostre esistenze reali e drammatiche, che vanno dalle guerre che continuano a insanguinare questa nostra terra alle lacerazioni e contraddizioni che feriscono il tessuto delle nostre vicende personali e comunitarie.
di Padre Walter Vinci MI
ESERCIZIO PER L’ANIMA
Sosto in silenzio davanti al Signore…
PREGHIERA
Signore nostro Dio, noi ti benediciamo
perché in questa Cena
ci hai donato di entrare nel mistero della Pasqua del tuo Figlio.
Come hai promesso di essere presente in mezzo a noi
quando siamo radunati nel tuo nome,
riempi di gioia pasquale i nostri cuori
perché possiamo credere con saldezza
alla liberazione dal male
e alla vita eterna che tu ci hai promesso.
Amen.