LEGGO IL TESTO
Dal vangelo secondo Luca 14,25-33
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Liturgia della Parola: http://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20220904.shtml
MI LASCIO ACCOMPAGNARE NELLA MEDITAZIONE
La parola di Dio che abbiamo ascoltato in questa liturgia domenicale, XXIII del Tempo Ordinario, ci ricorda che essere credenti — meglio, essere discepoli di Cristo — non è nell’ordine delle cose necessarie, ma in quello delle possibilità. Ci è data una possibilità per essere discepoli. È un invito alla saggezza.
Le parole di Gesù non sono prive di una certa ambiguità e starebbero bene in bocca a chiunque, soprattutto di coloro che abusano della buona volontà dell’altro.
Il Signore Gesù, circondato da una «una folla numerosa» (Lc 14,25), non si lascia incantare dal fascino dei grandi numeri, che spesso seducono e ingannano, ma decide di scuotere i suoi discepoli precisando alcune condizioni: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26).
Aggiunge pure un’ulteriore precisazione: «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo» (14,27).
La nuova traduzione cerca di rendere immediatamente comprensibile un testo originale, che in greco è davvero scandaloso. Gesù afferma che per poterlo seguire, è necessario letteralmente «odiare» i legami familiari e amicali, persino la propria stessa vita. Inoltre, è necessario fare i conti con la croce, cioè con il peso della realtà, che chiede di essere assunto e portato con quotidiana fedeltà.
Nella logica del vangelo, carissimi amici, assumono poca importanza le statistiche e le strategie volte a conservare un certo impatto ambientale. Più decisivo agli occhi di Gesù è chiederci se siamo davvero disposti a scommettere la nostra vita sulla sua parola, oppure siamo ancora prigionieri di quei legami affettivi e di quella cura per noi stessi che, per quanto importanti, non possono introdurci nella vita nuova del Vangelo.
Cristo non formula una pretesa. Non ci dice che se non facciamo alcune cose, allora lui ne farà o non ne farà altre. Ci costringe semmai a riconoscere che, finché non siamo liberi da certe aspettative e da una ossessiva attenzione a noi stessi, rimaniamo radicalmente incompatibili con la logica del Regno, che esige l’arte di saperci mettere accanto, per collocare sempre l’altro prima e oltre noi stessi, secondo quella logica d’amore.
Per essere discepoli del Regno occorre solo molta libertà. E per essere liberi è necessario costruire e combattere ogni giorno, come Gesù stesso osserva, attraverso l’immagine della «torre» (14,28) da edificare e della «guerra» (14,31) da affrontare.
Fino a quando non siamo disposti a rinunciare a «tutti gli averi» (14,33) – che possono essere un ruolo nella comunità parrocchiale, il potere da avere nelle relazioni, gli affetti “a pagamento” – possiamo tentare di essere al massimo delle persone «buone», che non fanno male a nessuno e cercano di non compiere ingiustizie. Ma essere cristiani, cioè uomini e donne in cui cresce la vita e la maturità di Cristo, significa abbracciare una vita che punta all’amore più grande e in cui si manifestano le opere stesse di Dio. Come è accaduto all’apostolo Paolo, che abbiamo ascoltato nella seconda lettura, con grande libertà interiore suggerisce al «carissimo» amico Filemone di accogliere nuovamente Onésimo, il suo schiavo che era scappato, «non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo», di accoglierlo «sia come uomo sia come fratello nel Signore» (Fm 16).
Paolo non abolisce la schiavitù, ma predilige il criterio della carità, che è sempre capace di scegliere un bene che non è «forzato, ma volontario» (Fm 14). Non è infatti una necessità che ci si impone essere cristiani.
È bello, riempie la vita, pone nel nostro cuore una grande speranza. Un po’ come Dio, che non vuole essere riconosciuto come necessario — tanto lo è — ma come sicuro alleato di un’esistenza meravigliosa e profumata di comunione. Piena di quell’amore che, liberamente, si offre e si dona.
Essere discepoli del Signore significa accettare e abbracciare, ogni giorno, un cammino di liberazione che esige una scelta forte di libertà, la quale non permette mai di ricadere in nessuna forma di schiavitù e, men che meno, in quelle così apparentemente spirituali, che sono ancora più pericolose perché più subodole.
Essere discepoli significa accogliere e portare la croce della propria vita come un punto interrogativo mai definitivamente superato, un punto che rimane sempre da attraversare e da cui lasciarsi mettere profondamente in questione. Del resto, non va mai dimenticato, come abbiamo ascoltato nella prima lettura: «Quale uomo può conoscere il volere di Dio. Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?» (Sap 9,13).
ESERCIZIO PER L’ANIMA
PREGHIERA
Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.
Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca.
Insegnaci a contare i nostri giorni
E acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!
Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda.
Salmo 89