Fedeltà e donazione
È vivo in tanti religiosi camilliani il ricordo di padre Alessandro. Se potessimo interrogare le mura dello studentato Camilliano di Roma, dove ha vissuto, parlerebbero di questa ordinaria storia d’amore e santità. Credo che siano questi due elementi fondamentali della vita si è vero, breve: 17 mesi di sacerdozio e 29 anni di vita, ma intensi e pieni d’amore, ricevuto e donato di padre Alessandro. Umanamente ci rattrista, ci scoraggia, ma anche in questo dobbiamo avere il coraggio di aprire gli occhi e vedere il progetto di salvezza che Dio ha per ciascuno di noi.
Padre Alex in tutte le cose ci metteva amore, aveva un desiderio: “ma mission dans le monde est d’etre portout le rifflet du Christ…” cioè la mia missione nel mondo è di essere dovunque il riflesso di Cristo…” e lo metteva in atto sempre, vivendo al massimo, tutto e nel servizio concreto per il prossimo, aiutando chi aveva difficoltà con la tecnologia e con lo studio delle lingue, azioni concrete che descrivono eloquentemente chi era padre Alex.
Il suo sogno era quello di ritornare in Burkina Faso, da dove era arrivato nel 1991, come religioso e medico desiderava “sollevare i malati partendo dall’anima”, ma da vero figlio di San Camillo, che i malati se li caricava sulle spalle, desidera portarli “nel mio cuore, nelle mie mani, sulle mie spalle come fece Gesù. Fa’, o Signore, che io rafforzi bene i miei reni fin da adesso”.
Sogni, desideri, donazione, sono le parole che emergono spesso rileggendo le tante testimonianze giunte dopo la morte di padre Alex. Arrivava a perdere la concezione del tempo, donandosi agli altri “intelligente e brillante, pieno di entusiasmo per qualunque cosa buona o che in qualche modo facilitasse l’amicizia e la fraternità”; superiori e compagni del seminario lo notano “sempre con il sorriso sulle labbra, pieno di delicatezza, animato da spirito di servizio.
Sin da piccolo resta affascinato dal sacerdote che ha celebrato il battesimo del suo ultimo fratellino, è 5° di 11 figli, ne imita i gesti nonostante i rimproveri della madre. A causa del lavoro del padre è costretto a trasferirsi più volte, e questo non gli consente di seguire la preparazione ai sacramenti per cui riceverà a 18 anni la comunione nel 1985, e l’anno successivo la cresima. È in questo periodo che conosce i camilliani e frequenta da loro un anno di spiritualità al termine del quale entrerà come postulante. Dopo la prima professione avvenuta l’8 settembre 1991 sarà inviato in Italia per proseguire i suoi studi e per curare una brutta epatite che gli era stata diagnosticata. Presso la pontificia università Lateranense porterà a termine in maniera brillante la sua carriera universitaria nel 1994 e affiderà a Santa Giuseppina Vannini (allora beata) la sua vita religiosa professando i voti perpetui proprio il 16 ottobre 1995 nella chiesa della Maddalena a Roma. Nel 1995 a gennaio sarà ordinato diacono da mons. Brambilla e a luglio dello stesso anno nella sua terra d’origine sacerdote. “Aveva fretta di diventare prete” ricordano gli amici, “voleva fare tante cose, dare agli altri, far condividere la sua fede e dopo i suoi studi voleva ritornare in patria per essere vicino ai suoi”. “Sono aperto alla vita, ma non mi nutro di illusioni”, sussurra, perché la sua passione per la medicina non gli consente di non conoscere la gravità e i rischi della malattia e anche il suo probabile epilogo.
A dispetto delle tante notizie che ci riporta la cronaca oggi di eutanasia e di suicidio assistito padre Alex era attaccato alla vita con tutto sè stesso, fa di tutto, si sottopone a cure sperimentali e nuovi farmaci. Ma la malattia fa il suo corso, inesorabile e sorda si evolve in tumore; lui prega, prega tanto per gli altri, per le nazioni, per i poveri, per gli ammalati, per chi si affida alle sue preghiere, ma mai per sé stesso: pur sapendo che “Cristo, se vuole, può guarirmi”, non lo sfiora l’idea di chiedere la guarigione, neppure di fronte alla grotta di Lourdes, convinto che “la mia morte prematura può essere una grazia perché il Signore sa quel che fa”. La sua malattia si trasforma dunque in offerta: “i miei mali fisici siano per te un dono semplice. Desidererei riacquistare la salute, ma non te la chiedo, se è volontà di Dio che io porti questo male per tutta la vita; però concedimi la guarigione dell’anima e una vita conforme ai miei voti e per me sarà tutto”, arrivando a stipulare un patto con il buon Dio e la Madonna: “Sono deciso ad essere gioioso fino alla fine… purché voi mi siate accanto”
Esattamente 15 giorni prima di morire, il 24 novembre 1996, confidò ad un confratello: “La vita non è fine a sé stessa ma un mezzo come tutte le altre cose ricevute per vivere il nostro rapporto con Dio. Quindi non importa che sia lunga o corta, ciò che importa è come è stata vissuta, se in bene o in male. Il giorno del giudizio finale il Signore non ci chiederà se abbiamo vissuto poco o tanto; chiederà se in questo tempo lo hai amato! Sì amare! Amare Dio e i fratelli”
La celebrazione dell’Eucarestia era un momento della giornata fondamentale, staccava ogni contatto, i confratelli ricordano sorridendo che attaccava un foglietto sulla porta in cui chiedeva di non essere disturbato. La sua stanza era diventata un santuario, riceveva spesso visite che diventavano momenti per pregare insieme. Il giorno dell’Immacolata chiese di celebrare la messa alle suore dell’ospedale delle Figlie di San Camillo, dove era ricoverato da qualche giorno, la santa Vergine era venuta a riprendere con sé padre Alex, dopo il sacramento degli ammalati, il 9 dicembre padre Alex abbracciò l’eternità.
Un giovane, con un cuore in grado di amare, questo è stato padre Alex e in questo sta la sua santità, oggi, tra noi!
Postulazione
Padre Walter Vinci, postulatore generale
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