OSARE, IL MIO CAMMINO PER LA FELICITÀ
Esprimere con parole, quello che si vive nel profondo, non sempre è facile, il rischio che si corre è quello di sciupare la bellezza di quello che si vive. Ma è importante che io ci riesca perché questo mio racconto possa raggiungere e toccare la corda del cuore di qualcuno, come è successo per me. Attraverso gesti, persone, incontri, grandi e piccole testimonianze che mi hanno quasi condotto per mano, fino a dire in piena libertà il mio sì!
“Ecco, il seminatore uscì a seminare” (Mc 4,3).
Non saprei dire con precisione quando questo seme ha toccato il terreno della mia esistenza, ma credo da molto piccolo. È in quella fase dell’infanzia quando giochi a “dire la messa” e costringi tuo fratello più piccolo a partecipare che credo sia successa qualcosa in me. Il desiderio grande di servire il Signore da più vicino, senza la pretesa di fare cose grandi, ma quella di lasciarmi plasmare da lui credo abbia fatto il resto. Ed è così che ho cercato di capire quale disegno d’amore Dio Padre, aveva per me. Dinamica tutt’altro che facile e scontata, avvincente, questo si, ma anche sofferta perché non sempre quello che io desideravo per me corrispondeva quello che Dio pensava per me, infatti nella logica divina la felicità consiste nel trovare il nostro posto nel grande disegno che Dio ha sul cosmo e sulla storia, piccoli, minuscoli tasselli di un grande mosaico; valiamo perché esistiamo, valiamo perché amiamo o desideriamo amare! Ho cercato di costruire il mio sogno, basato sull’amore di Dio per me, con tutto ciò che caratterizza la mia esistenza, i miei tanti limiti, sogno che gradualmente ha preso forma, stimolato da una sana inquietudine che mi ha sempre spinto a non fermarmi, a non lasciarmi vivere, ma a vivere in pienezza tutto quello che la vita mi ha proposto, le belle amicizie, ma anche i momenti turbolenti consapevole che la vera pace interiore convive con questa “tensione verso” ce lo ricorda Sant’Agostino “Signore, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. Ed è con questi sentimenti che ho iniziato a vivere questo progetto: è Dio stesso che ci invita a realizzare sogni grandi, anche se difficili, una vita senza sogni non è degna di Dio, non è cristiana una vita stanca e rassegnata, dove ci si accontenta, si vivacchia senza nessun entusiasmo. I sogni non vanno mai anestetizzati!
E di sogni a 30 anni io ne avevo tanti, ma di sicuro non avrei mai pensato di vivere quello che sto vivendo. Dopo alcune belle esperienze lavorative che mi hanno permesso di crescere e maturare, un giorno, ricordo precisamente quale, il 16 giugno del 2016, misi un po’ da parte il lavoro per concentrarmi sullo studio, avevo deciso di prepararmi per il test di ammissione ad infermieristica per l’anno accademico che si stava per aprire. Dopo la precedente esperienza accademica, un po’ turbolenta, mi era rimasto il desiderio di studiare, anche se la paura di un fallimento era grande, la paura di non farcela, di essere un vecchio in mezzo a giovani appena usciti dalla scuola secondaria, ma era grande il desiderio di coronare il mio sogno e così anche se un po’ più in la con gli anni, ho voluto riprendere gli studi.
Una mia amica che mi stava aiutando a compilare la domanda per il test di ammissione mi disse: “scegli tutti gli ospedali ma non il san Giovanni-Addolorata”, ricordo con precisione questa frase, anche perché mi aveva colpito il nome di questo nosocomio, ma la provvidenza ha voluto che io andassi a finire proprio in quell’ospedale, ed è li che sull’altare campeggia una grande immagine di San Camillo con la frase “più cuore nelle mani”, il giorno della messa di inaugurazione dell’anno accademico mi colpì particolarmente tanto che nei giorni successivi divenne motivo di riflessione. Mi tornava spesso in mente durante le lezioni di infermieristica, quando ci insegnavano come “prendersi cura” quel “più cuore nelle mani” ritornava prepotente. Sapere, saper fare, saper essere acquisiva un senso diverso alla luce di questo monito con il quale Camillo sollecitava i suoi e che aveva fatto la sua irruzione nella mia vita e stava scavando sempre più. Non lo avevo messo in conto, io, ma qualcun altro si! La lettura di qualche libro su san Camillo, alcune visite alla chiesa della Maddalena e ai luoghi di Camillo, hanno acceso in me il desiderio di ricerca profondo, il tirocinio professionale in reparto diventava palestra per applicare tutto quello che leggevo e che ormai volevo vivere, servire Cristo presente e vivente nei malati, che ogni giorno incontravo per le corsie del san Giovanni, alla scuola di Camillo che di essi aveva fatto i suoi “signori e padroni”. Così dopo un percorso di discernimento nel settembre 2017 ho iniziato il mio cammino, come postulante e quello che ho cercato di vivere è stata la quotidianità, in pienezza, vivendo ciò che ero chiamato a vivere, l’esperienza fatta in parrocchia durante gli anni di formazione prima del noviziato mi ha permesso di crescere e incontrare storie e persone che porto nel cuore, e che hanno lasciato, in me pezzi del loro vissuto, e insieme a loro ho potuto camminare e formarmi. Il noviziato è stato un anno intenso, in cui ho potuto approfondire e mettermi in ascolto, perché il mio cuore si aprisse all’azione di Dio, per realizzare ciò che il Vangelo, sorgente della vita ci propone. Ho potuto dire il mio sì, davanti a Dio e alla Chiesa, un sì che dice donazione, un sì che è fatto di tanti piccoli si detti nel quotidiano, un sì che per ragioni canoniche ha la validità di un anno, ma che nel mio cuore desidero che sia per tutta la vita, questa croce rossa che porto sul petto voglio che parli d’amore, l’amore che ha spinto Camillo e tanti altri sul suo esempio a donarsi senza riserve, concretamente nel servizio e per amore.
In mezzo come colui che serve: con irresponsabile e indispensabile entusiasmo e con il vigoroso realismo del fragile seme, che accetta il buio del sottosuolo per farsi bosco. Nessuna paura che mi calpestino, calpestata l’era diventa sentiero.
Amare per primi, amare tutti, amare sempre, amare è servire.