“Patris corde” Commento in prospettiva di promozione vocazionale camilliana
Giuseppe Cinà, M.I.
Si possono individuare elementi di “promozione vocazionale camilliana” nella lettera di papa Francesco? La risposta è senz’altro affermativa, tanto più che il contenuto di quel documento è appunto una meditazione sul servizio di cura per i malati colpiti da questa inedita e devastante pandemia da covid-19. Il papa rimane colpito dal generoso movimento di volontariato che ha mosso e tuttora muove le varie categorie non solo dei professionisti del mondo sanitario e della protezione civile, ma anche di gente comune – persone, come oggi si ama dire, della “porta accanto” – Questi si dedicano liberamente, in gratuità assoluta, a servizio di chi è nel bisogno.
Dalla storia delle epidemie del passato non ricaviamo molto riguardo alle cause e alle cure prestate. Prima di tutto perché erano per lo più circoscritte alle zone colpite. Né le scienze mediche erano sufficientemente sviluppate. Vero è che malattie e pestilenze, dove più e dove meno, sono sempre avvenute. Per molto tempo, in molte culture, la causa era cercata soprattutto nel campo religioso: divinità irritate per il cattivo comportamento degli uomini. Paradigmatica, per i paesi occidentali, è rimasta la descrizione che ne fa il Manzoni, nei “Promessi sposi”, che egli chiama: “la peste di San Carlo”…Un altro esempio più recente è il notissimo saggio-romanzo di Albert Camus: “La peste”, dove è sottolineato la diversa interpretazione che ne dà il Parroco e il Medico…[1]
Il nostro Ordine camilliano, conosce abbastanza queste storie per essere nato appunto in risposta a situazioni sanitarie di estremo disagio. I figli di san Camillo si vincolano con un “voto” dinanzi a Dio e alla comunità di “stimare sempre più, di amare con tutto il cuore e di praticare con tutte le forze, il servizio ai malati, anche con rischio della vita” (“Costituzioni dei Camilliani, art. 12). Qualcosa di simile facevano anche altre istituzioni religiose e civili. Quel che pare costituire l’originalità, se così vogliamo chiamarla, di questa pandemia che stiamo vivendo, è la rapidità e l’universalità della diffusione. Al dire di alcuni studiosi l’attuale “crisi del Covid-19 va considerata nel nostro contesto sociale caratterizzato tra l’altro dalla “stretta relazione che sussiste tra lo scoppio di un contagio virale pandemico e la globalizzazione…che ha enormemente accresciuto la rapidità del contagio…Oggi il mondo è collegato da reti di trasporto ad alta velocità, un’infezione, una volta scoppiata, può diffondersi rapidamente e universalmente”[2].
Papa Francesco, pur conoscendo e apprezzando grandemente l’opera del personale sanitario e di altre categorie di “addetti ai lavori”, in questo documento si sofferma sul movimento di persone direi “ordinarie”…Sorprende poi il richiamo alla figura di San Giuseppe. Probabilmente il papa ha voluto cercare una figura in qualche modo rappresentativa e significativa di queste persone. La lettera dice che l’ha trovata, appunto, in san Giuseppe.
Perché San Giuseppe?
Qui è, direi la sorpresa: se avesse nominato santi e sante, fondatori e fondatrici di Istituti e Congregazioni addette specificamente al “pianeta salute”, o laici insigni – tipo san Giuseppe Moscati – non ce ne saremmo stupiti più di tanto. Neppure ha citato qualcuno degli apostoli o dei discepoli, o dei Padri o Madri della Chiesa delle origini…
E’ bene tener presente che la bibbia, sia il Primo che il Nuovo Testamento presenta numerose scene di vocazione,[3] spesso molto diverse le une dalle altre. Sono tra gli scenari più sconvolgenti: c’è chi è immediatamente disponibile e chi resiste o rifiuta; altri rimangono incerti, c’è anche chi si sente confuso prima di decidersi; altri si propongono con entusiasmo…Ed è facile capirli, perché l’intervento di Dio è provocatorio: si sentono, almeno nel primo momento, espropriati dalla propria libertà e soggettività, attratti da un “Altro” che… li pretende per sé, per un suo disegno…L’avventura di san Giuseppe ha una sua originalità che va scoperta e capita. Riguarda un uomo che già appartiene a Dio, perché membro del popolo eletto ed è fedele all’Alleanza. Eppure Dio gli chiede altro, qualcosa che lo turba in profondità.
Lo spunto che ha indotto Francesco a scegliere questo santo, è dato dall’essere, quest’anno, il 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe a Patrono della Chiesa universale, fatta da Pio IX nel 1870. Poi però aggiunge che lo fa perché è sempre stato affezionato allo sposo di Maria e padre putativo di Gesù. Si è sempre sentito ascoltato e preso in considerazione ogni volta che l’ha invocato e anche ora ancora continua a ricorrere a lui…
L’esplosione della pandemia è stata poi l’occasione che lo ha avvicinato ancora di più a questo Santo. Egli stesso sottolinea che è stato mosso a parlarne “per un sovrabbondo del cuore – volendo, come dice Gesù – che “la bocca esprimesse ciò che nel cuore sovrabbonda” (Mt 12,34). Infatti nella prima parte del testo richiama rapidamente tutte le brevi ma essenziali parole dei vangeli che si riferiscono a lui. Meditando quegli eventi, è entrato più profondamente nel cuore e nei sentimenti del Santo.
L’epidemia in atto l’ha vista come un’opportunità per capire meglio chi fosse questo Giuseppe e perché, stando al vangelo di Matteo, si sia comportato in modo così straordinario dinanzi al mistero della sposa e del bimbo che essa portava in grembo. In questo modo Giuseppe ha potuto entrare anche nel “mistero” della sua propria vita. Si è reso conto che Dio lo chiamava a cooperare con lui all’evento dell’incarnazione del suo Figlio e quindi a partecipare intimamente al mistero della redenzione. Dovremo analizzare attentamente questa circostanza, per capire il senso della “vocazione” tipica del “padre putativo” di Gesù.
Giuseppe “rappresentativo” dei volontari?…
Prima però ci chiediamo in che senso san Giuseppe può essere “rappresentativo” del vasto fenomeno di questo volontariato, fatto di gente “comune” che si dedica spontaneamente all’aiuto di malati d’una patologia altamente contagiosa.
La prima indicazione è molto semplice: per il puro fatto che Giuseppe, fino al momento della chiamata dell’angelo, viveva nella maniera più comune e ordinaria. Era già sposato, aveva quindi un progetto di vita messo in piedi insieme con Maria e probabilmente concordato anche con le rispettive famiglie. Non si poneva altri problemi. La sua vita dunque si svolgeva sulla stessa lunghezza d’onda della gente “comune”, come accade anche oggi a questi volontari.
Un fatto inatteso e sconvolgente
Quand’ecco un fatto inatteso e, per Giuseppe strano e inaccettabile: improvvisamente ha dovuto constatare che Maria “si trovò incinta per opera dello Spirito Santo” (Mt 1,19). Ma questo Giuseppe non lo sapeva ancora! Pensa quindi che Maria abbia rotto il fidanzamento. Decide di “rilasciare a Maria una lettera privata di ripudio, “per non accusarla pubblicamente” (Mt 1,19). Fa dunque quanto prescriveva e consentiva la Legge come alternativa all’accusa pubblica.
Chi è, allora, san Giuseppe? Qui è il momento determinante dove entra in gioco un Altro: Dio stesso. Francesco riferisce la parola di Dio che definisce Giuseppe “uomo giusto” (Mt 1,9), un’espressione che, spiega il papa, significa: “sempre pronto ad eseguire la volontà di Dio manifestata nella sua Legge (Lc 2, 22.27.39) e mediante ben quattro sogni (Mt 1,20; 2, 13.19.22)”.
Che ne pensa l’emerito papa Ratzinger?
Papa Ratzinger nella sua trilogia su Gesù di Nazareth,[4] commenta ampiamente cosa voglia dire quest’attribuzione di “giusto” allo sposo di Maria: nota prima di tutto che la qualifica di “giusto” gli vien data nel momento in cui ha preso quella decisione nei confronti di Maria: è proprio in seguito a questa scelta che il vangelo qualifica Giuseppe “uomo giusto”. “E lo fa con amore, osserva Ratzinger, perché non vuole esporre Maria pubblicamente all’ignominia, anche nel momento della grande delusione…” (p.51). Certo, quel che l’angelo gli dice è sconvolgente: egli, come ho già ricordato, ha un progetto di vita ben definito. Ed ecco che ora l’angelo – cioè Dio – irrompe come un uragano in quel disegno.
E’ il dramma di Giuseppe che, con tutta probabilità, lo affligge per giornate e nottate interminabili, fino a quando l’angelo non gli scioglie l’enigma (che ora diventa “mistero”): “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei, viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1, 21).
Ecco la “vocazione” di san Giuseppe, è l’ora della chiamata a prendere parte intimamente al disegno salvifico di Dio. Prima di questo momento, Giuseppe certamente viveva la sua “giustizia” nella fedeltà all’Alleanza, nell’ascolto della parola delle sacre Scritture. Ora però Dio interviene per chiedergli qualcosa di più: la “chiamata” ad una missione specifica a favore del suo popolo e dell’umanità intera. Decisivo è allora l’appellativo di “uomo giusto” che il vangelo gli conferisce.
Il senso di “uomo giusto”
Quindi, “la qualificazione di Giuseppe come uomo giusto – prosegue Ratzinger – va ben al di là della decisione di quel momento: offre un quadro completo di san Giuseppe e al contempo lo inserisce tra le grandi figure dell’Antica Alleanza, a cominciare da Abramo…”[5].. Quest’immagine dell’uomo di Dio quale uomo giusto, vuol dire che egli “ha le sue radici nelle acque vive della parola di Dio, sta sempre nel dialogo con Dio”, si nutre di quella parola, per questo interpreta bene la Legge. Insomma, è familiare di Dio.
I “sogni” tramite i quali ascolta e mette in pratica quanto ha udito, sono l’espressione della stretta relazione che ha con il Signore e con la sua parola[6]. Si lascia plasmare da quel dialogo. Di qui la capacità di discernimento e di decisione.
La chiamata di Dio esige davvero una fede straordinaria, una intimità con il divino vissuto nell’esperienza quotidiana. Occorre grande disponibilità, un animo abituato al “vedere e udire” con l’occhio e l’udito di Dio, come dicevano i Profeti e come dirà Gesù stesso pretendendo che i suoi discepoli acquistino finalmente queste capacità. A questo proposito, forse è utile ricordare il grave rimprovero di Gesù ai suoi discepoli dopo il duplice miracolo della moltiplicazione dei pani (Mc 8,14-21).
Giuseppe deve infine accogliere questa…intromissione di Dio nel suo progetto. In effetti, il Signore non gli toglie Maria, che sarà la sua sposa, e sarà “aggraziata” (“piena di grazia”)[7]. Ma ora Dio è entrato apertamente nel loro progetto di vita e…essi sono chiamati a entrare nel progetto che Dio ha su di loro: ecco la concatenazione tra Dio e l’uomo che è il nucleo più profondo della chiamata divina. E’ ciò che contraddistingue la vocazione divina. Tutto ormai – ossia il progetto divino-umano, sia per Iddio che per Maria e Giuseppe – si gioca su questo equilibrio fatto di fedeltà assoluta da parte di Dio e di fede e di amore da parte di loro due…
La reazione di Giuseppe
Sul momento in Giuseppe l’evento produce, come si è detto, disorientamento, imbarazzo, sofferenza…Ma, una volta entrato più profondamente in se stesso e quindi nel volere di Dio, scopre tutta la grandezza di una tale vita, da spendere ormai in una relazione così esclusiva con Iddio a vantaggio dell’umanità. Il cuore si allarga per l’amore che prova per Iddio e per gli uomini, ma anche per una esperienza di vita avvincente e valida perché ricca di senso e di emozioni.
Avviene qualcosa di simile a quanto ha già sperimentato Maria come ella canta: “grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente”. Anche Giuseppe ormai è associato, in maniera ben diversa, al suo Dio, al suo agire per il bene del suo popolo e di tutto il creato. Una vita davvero grande, nella quale brillano i due atteggiamenti che la rendono tale: fiducia e responsabilità. La prima è fondata su Dio; la seconda ne diviene di conseguenza, perché ora sa che Dio agisce in lui, lo trasforma rendendolo idoneo al compito che gli ha assegnato. Sperimenta poi che Dio si fida di lui, che può contare su di lui. Tanto è vero che, dopo aver parlato, l’angelo si ritira, perché sia Giuseppe a provvedere cosa debba fare.
Dal “chi sei” al “per chi sei?
Del resto fa sempre impressione rendersi conto di quanto “poco” sia sufficiente alla rivelazione biblica per dire “molto” sull’identità e la missione che Dio affida a qualcuno. Così era avvenuto a Maria: una volta che l’angelo di Dio ha parlato e si allontana, ella “custodisce tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19.51)…Ora è Giuseppe che si affretta a realizzare quanto l’angelo gli ha detto. Egli “ascolta e fa” (Lc 2, 22.27.39). Una volta che lo ha chiamato, il Signore tornerà a chiamarlo. Anzi, quotidianamente si sentirà chiamato, come fosse la prima volta, sia perché si approfondisca la relazione con il suo Signore, e sia perché Dio “fa sempre nuove tutte le cose”: ci saranno sempre ”novità” nella vita sua e dell’umanità. Ma non tutti “vedono” questa realtà…
Non sarà una vita…facile
Non è sempre facile e semplice realizzare il progetto di Dio. Ci saranno tempi duri, anche dolorosi e difficili. Per questo l’angelo lo rassicura: “Non temere!…Dio è sempre con te”. Il disegno di Dio è “salvifico”: Dio deve “liberare l’umanità sbandata e peccatrice, che si sottrae a quel progetto: non lo sente “suo”. L’uomo vorrebbe essere solo lui l’artefice del suo destino. Sogna sempre l’autonomia, l’indipendenza da Dio. Ma il Signore che è suo Creatore e Padre, sa che, lasciato a se stesso, l’uomo si perde. Dio non si arrende: cercherà sempre collaboratori e collaboratrici che lo affianchino nella sua opera…In ultima analisi è da dire che “tutto fa Dio, ma nulla fa da solo”…
D’altra parte gli adulti sanno che costruire qualcosa di grande e di bello richiede fortezza e coraggio. Giuseppe, da buon ebreo, conosce la vita e la storia del suo popolo; conosce le Scritture, sono esse che lo hanno educato. Sa che i profeti per lo più vengono respinti e rifiutati: ricorda l’avventura di Mosè e di tanti altri e di tante altre. Conosce i “Canti del servo sofferente (Is. 52,13 – 53,12)…
Se Giuseppe accoglie la chiamata, lo fa perché è “uomo giusto” nel senso suddetto: vive della parola di Dio, del dialogo con Lui. Sa che Dio stesso lo sosterrà, lo renderà forte nelle avversità. Sa che Dio realizzerà il suo disegno. Ora, dopo la “chiamata” e il suo assenso, ha sperimentato quanto Dio sia capace di inserirsi nei pensieri e nel cuore delle sue creature ed entrare nei loro progetti. La sua sposa ha cantato tutto questo nel suo “Magnificat”: Onnipotente e santo è il suo nome…”.
Anche papa Francesco (e noi con lui) meditando sulla vocazione dello sposo di Maria, abbiamo capito più profondamente l’identità di Giuseppe e la sua missione. Non tanto “chi” era e “chi è” Giuseppe, quanto soprattutto “per chi era” e “per chi è” Giuseppe: a chi appartiene? “di chi è” ?…
La maturità
E’ questa è una verità grandiosa che ci riguarda tutti: l’uomo – ogni uomo e ogni donna – trova la sua “verità”, cioè chi veramente è e chi deve diventare, attraversando due momenti: prima deve cercare e trovare se stesso, deve imparare a “prendersi in mano, diventare padrone di sé”. Per poi aprirsi e donarsi all’altro, all’altra, agli altri…Solo attuando questo dinamismo il giovane, o la giovane, diviene adulto/a e maturo/a. E da “individuo diventa persona”, ossia soggetto di relazioni, di dialogo, di ascolto e di risposta perché è creato a immagine e somiglianza di Diotrinitario. Da soli, non si costruisce nulla, è l’essere insieme, l’essere “comunità” che edifica (pare che sia stato questo il dramma della “Torre di Babele”…). E’ la comunione, la vita comunitaria che mette “in accordo” le voci dei singoli. Una nota sola – ho recentemente letto da qualche parte – non genera nulla, mentre due o tre o più note creano un “accordo”, una “sinfonia”.
Francesco guarda questo variegato mondo del “volontariato”
Chi sono questi personaggi che oggi, nel tempo della pandemia, generosamente si danno al servizio dei malati di corona-virus?
Il Papa ama guardare e quasi elencare la pluralità e la varietà di persone che “nel tempo del covid-19”, hanno considerato se stessi di essere “a servizio” degli altri. Si sono donati agli altri, si sono presi cura degli altri. Hanno messo la propria vita, il loro lavoro, le proprie attività, le loro forze di mente e di cuore, il loro tempo a disposizione degli altri.
Molte volte questi “altri” erano o sono sconosciuti. Rispondendo alle loro necessità, li hanno poi conosciuti e serviti come fossero persone note e care. Oggi si parla molto di “empatia”…che propriamente è un termine di psicologia e significa “la capacità di porsi nella situazione di un’altra persona, con nessuna o scarsa partecipazione emotiva”. Diversa quindi dalla simpatia “che implica sempre nel soggetto questa partecipazione”[8]. La distinzione ha la sua importanza, e diverso è l’effetto che produce nell’altro…Dipende dal motivo che muove il soggetto ad agire…
Ma la nota dominante di chi si impegna nel volontariato, è un senso di felicità, di gioia. Essi stessi testimoniano che…”volontariato è bello, perché è più quello che si riceve che quello che si dà”! Non risparmiarsi ma donarsi. E’ l’esperienza che afferma questa verità, ma anche la psicologia del profondo, come scriveva Viktor Frankl in termini scientifici: “l’autorealizzazione è frutto dell’autotrascendenza (=uscire da sé per andare verso l’altro”). Ma non era Gesù che per primo ha detto: “chi vuol salvare la propria vita la deve perdere” (cioè “donare Mt,25) e “se il chicco di grado caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24)?
San Giuseppe e la ricerca vocazionale
Cosa dice questa appassionante vicenda a chi è alla ricerca della sua identità, di un suo futuro e l’intravede in una “vocazione” alla vita consacrata camilliana?…La risposta ovviamente è squisitamente personale…Si tenga presente però il suggerimento di don Giussani: “Oggi molti non aspettano altro che d’incontrare qualcuno davvero appassionato di Cristo”. Io ora posso solamente porre una sorte di scaletta per, eventualmente, stimolare il cuore e la mente di ciascuno:
*tutto ha inizio con un “avvenimento”: succede qualcosa che mi provoca, mi fa pensare: mente, cuore e sentimenti sono turbati, alterati: provo a riflettervi, a meditarli, come è successo a san Giuseppe;
*comincio a pensarci: scopro che la vita non è così semplice, forse c’è qualcosa di misterioso, qualcosa o qualcuno si sta intramettendo nella mia vita: il discepolo di Gesù è infatti un…”essere-in-Cristo”, “essere con e per Cristo”;
*in fondo non mi dispiace, anzi ci trovo gusto: qualcosa di bello mi occupa, e a volte mi preoccupa…Addirittura provo gioia, un senso di pienezza, di significativo che mi eccita…
*distinguo questa gioia dal piacere: quella mi rende felice, questo dopo un primo momento di soddisfazione, mi smorza, o addirittura mi intristisce…
*magari provo anche una qualche disponibilità per quel che sto vivendo, mi rendo più malleabile…
*tendo a decidermi per sperimentare quanto sto vivendo;
*ci prego: porto il mio…affare davanti a Gesù…
*ne parlo con qualche amico o persona fidata
*infine una prima decisione: “ci proverò, voglio farne esperienza…
Buona strada!
[1] Nel romanzo il Camus attribuisce al sacerdote (gesuita) la versione religiosa della tradizione: il peccato dell’uomo e la correzione di Dio, mentre il medico, non credente, si concentra sulla cura degli appestati.
[2] Cho Hyun-Chul, S.J. in: La Civiltà Cattolica, n. 4091, dicembre II 2020, p.432, ss.
[3] Si pensi, per il Primo Testamento, ad Abramo e a Mosè, Elia e Eliseo, Isaia e Geremia, ecc. Per il Nuovo Testamento: i primi discepoli, Pietro e Andrea, Filippo e Natanaele, Giacomo e Giovanni; poi Matteo e Simone; Barnaba e Paolo, eccetera.
[4] L’Infanzia di Gesù, Rizzoli, LEV, 2012, pp. 48-53.
[5] Ib., p. 49.
[6] E’ chiaro e illuminante il riferimento al patriarca Giuseppe figlio di Giacobbe, esperto dei sogni e della loro interpretazione Gen capp. 37-49.
[7]Il “vuoto” di Maria, (la sua “umiltà-piccolezza) e il suo abbandono fiducioso nelle mani del Padre, la farà “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio” (Dante).
[8] Empatia, in: G.Devoto-G.C. Oli, Il Dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 1994, p. 654.