“Sono stato io, li ho ammazzati perché erano troppo felici!”
È successo tra noi, alla fine di settembre. Due fidanzati sono stati uccisi da un loro amico, che ha confessato il perché: “sono stato io, li ho ammazzati perché erano troppo felici”. Non sopportava di vedere la gioia dei due innamorati, con i quali aveva condiviso per un certo periodo l’appartamento. Tutto è cominciato quando ha dovuto trovarsi un’altra abitazione. Da allora ha cominciato a pianificare l’omicidio. E l’ha attuato con molta violenza. Loro hanno cercato di scappare, invocando aiuto e chiedendo pietà. Ma lui li ha inseguiti e uccisi, senza pietà.
Ha ammesso di avere sbagliato. Ma troppo tardi. L’invidia gli aveva intossicato lo sguardo e fatto perdere la testa. Forse si può parlare, in questo caso, di quel mix di invidia e gelosia, che una psicologa ha battezzato col nome di gelinvidia.
Tutto questo è successo quando avevo da poco consegnato all’editore un libro sull’invidia, su questa emozione molto diffusa ma inconfessabile. Gli invidiosi sono sempre gli altri. E un capitolo parla proprio dell’invidiare chi è felice.
Desideriamo la felicità. La cerchiamo per tutta la vita. E può suscitare in noi invidia e rabbia al vedere che qualcuno possiede ciò che noi non abbiamo. E nasce il desiderio di toglierlo e di distruggerlo. La storia del rapporto tra Saul e Davide può essere un esempio.
Il primo libro di Samuele racconta come il re Saul si arrabbiò al vedere che Davide aveva più successo di lui. Il canto delle donne che metteva a confronto i due, «ha ucciso Saul i suoi mille e Davide i suoi diecimila», lo irritava molto. Saul diventò geloso di queste preferenze e invidioso di ciò che Davide, più giovane e più forte di lui, possedeva. E da quel giorno guardava con sospetto Davide e fece di tutto per farlo fuori. Ma quello che credeva fosse il suo rivale ne usciva sempre vincente. Saul era geloso della preferenza che Dio aveva per Davide ma era soprattutto invidioso della sua felicità. L’invidia impedì un tranquillo passaggio di consegne. E Saul si portò questo tarlo nella tomba.
Saul aveva certamente vissuto la felicità di essere stato amato e benedetto da Dio. Ma la sua felicità è cominciata a venire meno, e si è trasformata in invidia, quando ha visto che Davide cominciava ad essere più popolare di lui, più amato dalla gente e più felice. L’invidia è un grande ostacolo per essere felici. Ed è proprio la felicità dell’altro che risveglia l’invidia.
La Bibbia, nel primo Libro dei Re, narra anche la storia dell’invidia di una madre. Due donne che abitano nella stessa casa hanno un figlio. Ma uno muore durante la notte. Al mattino si contendono il figlio vivo e chiedono al re di dirimere la questione. Una delle due accusa l’altra di aver scambiato il figlio morto con quello vivo. Di fronte alla sua proposta di tagliare il figlio in due parti, una per ogni donna, solo la vera madre dell’unico figlio vivo chiede al re, «poiché le sue viscere si erano commosse per il figlio», di dare all’altra il bambino e di non farlo morire. Quella del re Salomone era solo una provocazione per discernere chi era la vera madre. A questa il re ha consegnato il bambino. La compassione rivela la vera madre e mette il re sulla buona strada per decidere.
L’invidia è soprattutto invidia della felicità dell’altro, della sua gioia, del suo piacere di vivere. E quando si concentra sulla distruzione dell’oggetto che l’altro possiede è per distruggere il piacere che l’altro prova nel possederlo. E la storia continua.
Il desiderio di felicità accompagna la nostra vita e ne cerchiamo in tutti i modi la soddisfazione. Anche se, a volte, facciamo di tutto per renderci infelici. Con sottile ironia Paul Watzlawick, nel suo libro Istruzioni per rendersi infelici, ci ricorda che il numero di coloro che, con competenza e consapevolezza, si costruiscono la propria infelicità è piuttosto grande.
Forse per questo, pur scrivendo un libro felicità, Paolo Legrenzi preferisce parlare di serenità: «Credo che ampliare gli spazi e i tempi della nostra visione del mondo renda evidente che la serenità è più importante e meno instabile della felicità intesa come espansione dell’io, come realizzazione di obiettivi personali. La serenità ha a che fare non solo con noi ma anche con la gratitudine verso gli altri, con il donare, con un’armonia più ampia. Solo la serenità rende meno vulnerabili e fa accettare le perdite che possono colpirci inaspettate». E più che cercare a tutti i costi la felicità, è importante per lui controllare le trappole che possono renderci infelici. Una delle trappole da evitare è proprio l’invidia.
Chi invidia lo fa perché è infelice, ma invidiando non fa che aumentare la sua infelicità. Forse dovremmo imparare ad apprezzare di più quello che già abbiamo.
Luciano Sandrin
(da: Missione Salute n.1 2021)