LEGGO IL TESTO
Dal Vangelo secondo Luca 23,35-43
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Liturgia della Parola: http://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20221120.shtml
MI LASCIO ACCOMPAGNARE NELLA MEDITAZIONE
In questa domenica celebriamo la Solennità di Cristo Re dell’Universo e la Liturgia della Parola ci fa meditare sull’evento della Crocifissione dei Gesù.
Una pagina che ci permette di prendere consapevolezza sul nostro essere indifferenti, sul nostro vivere “come se niente fosse”.
È il tempo del dramma, quando l’accaduto è senza ritorno.
È il tempo del dramma, del vero dramma, dopo che un Dio è stato inchiodato alla croce, tra due ladroni, mentre il tempo, indifferente, non se ne cura, e invece si dilata e lascia che il popolo ci guardi dentro, senza censura, senza neppure una lacrima.
È questa vita che accade, carissimi, ad essere drammatica, come se niente fosse, è questo “popolo (che) stava a vedere”, che continua a guardare, che guarda sempre, come se niente fosse, dentro il tempo che passa, guardare le cose che scorrono, la morte di un Dio, la vita che accade.
Credo che il dramma non stia nella crocifissione, nelle bestemmie dei soldati. Il dramma sta tutto nello sguardo di un popolo che “stava a vedere”. Che pena. Non urla, non piange, non ride, rimane a vedere.
Ognuno di noi, anche in questo momento che stiamo meditando questa pagina del vangelo di Luca, vede qualcosa di diverso. Qualcuno in quell’uomo appeso vede uno sconfitto, altri un rivoluzionario tradito, per qualcuno è un uomo che non riesce ad odiare neppure sotto tortura, per altri è un impostore, un mago, un profeta, l’amico dei ladri e delle prostitute, per qualcuno è una speranza tradita, la vittima dei politici, o dei preti, o di qualche grande potere, per qualcuno è un illuso, per altri è un niente, in mezzo a tanto niente, un morto tra i morti, tra quelli che sono stati e quelli che saranno. Per qualcuno è già dimenticato.
Mi fanno paura, lo giuro, tutte queste visioni diverse, da destra e da sinistra, ognuno a dire la sua, convinto di avere ragione, “il popolo stava a vedere” e io vorrei che chiudessimo gli occhi, per interrompere il fascio di interpretazione e stare in silenzio, non c’è niente da dire.
Dell’Amore che muore per Amore possiamo solo balbettarne una vaga intuizione: è un Re.
Vorrei stare in silenzio, non voglio “stare a vedere” voglio solo “stare”, perché la mia parola, quando prenderà spazio, possa essere suono umile, piccolo, quasi impercettibile e possa eliminare l’immagine di “capo” che troneggia nella mia esistenza e anima.
“I capi invece deridevano Gesù”, vorrei imparare a riconoscere quello che in me è ancora travestito da “capo”, vorrei smascherare il potere, quello che mi prende dentro e mi fa guardare la realtà con supponenza, come chi conosce la verità, come chi è dalla parte del giusto, come chi si permette di “deridere” ciò che non comprende. Vorrei non deridere mai nulla, e niente e nessuno. Vorrei sorridere di compassione, vorrei saperla accogliere la vita, con tutta la sua complessità, vorrei smetterla di interpretarla con arroganza, vorrei che mi fosse lasciata la libertà di non incasellarla, di non dividerla, di non etichettarla.
“Anche i soldati lo deridevano”, vorrei riconoscere tutto ciò che è violento nel mio sguardo, nel mio parlare, nel mio sentire. Vorrei saper riconoscere in tempo la parola che si arma prima di camminare incontro alle cose. Vorrei smettere di deridere la debolezza, di guardare dall’alto in basso chi non la pensa come me, vorrei potermi sfilare fuori dalle lotte di qualsiasi palazzo, vorrei potermi disarmare fino in fondo. Vorrei potermi spogliare. Vorrei essere così sovrano della mia vita da essere un “re nudo”, come il Crocifisso.
“Costui è il re dei Giudei” fu scritto sulla croce. Una buona interpretazione per tutti. La vita è così, è tutta una questione di interpretazione, di come educhiamo lo sguardo prima, prima di vedere, prima di approcciarci al reale. Di come educhiamo lo sguardo, perché non basta “stare a vedere” ma occorre “stare nel vedere”, cioè entrarci e starci dentro e provare a vedere l’effetto che la realtà produce su di noi.
E starci dentro quel Cristo che ci insegna ad essere re e non schiavi. Uomini liberi. Liberi da non aver bisogno di nessuno schiavo. Liberi da saper lavare i piedi perfino al traditore, per lasciarlo libero di essere ciò che ha deciso. Liberi di lasciar interpretare la parola “re”, sperando che lo sguardo insegni che sovrano è solo chi non ha bisogno di legare nessuno a sé.
ESERCIZIO PER L’ANIMA
In quali situazioni mi sono sentita abbandonato/a, delusa?
Come ho reagito? Mi sono chiuso/a oppure ho teso le mani?
In quale luogo della mia vita il dolore ha dato frutti?
PREGHIERA
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!
È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.
Salmo 121