Un grande maestro, un grande discepolo
Giacomo Giacopetti nasce il 25 novembre 1591 a Ripatransone, piccolo comune in provincia di Ascoli Piceno, da papà Francesco ed Emilia Guerrieri. Importanti nella sua prima educazione la figura materna che seppe instillare nel giovane Giacomo l’amore di Dio, la devozione a Maria, il sentimento di pietà e l’orrore per il peccato, ma anche lo zio arciprete, Pietro Arrico Giacopetti, canonico della cattedrale, che scorgendo in lui delle doti non comuni, gli insegnò i divini uffici e le solennità della Chiesa e lo iniziò anche allo studio delle lettere, delle scienze e infuse in lui l’amore per la musica. Ben presto, Giacomo, tra tutte le materie scientifiche mostrò propensione e attitudine verso l’arte salutare della medicina alla quale univa quella naturale vocazione di volersi prodigare a vantaggio dei più poveri e bisognosi, vocazione che crebbe e si sviluppò con l’età, tant’è che presto chiese ed ottenne il permesso dei suoi familiari, di recarsi a Roma presso l’Ospedale Santo Spirito in Sassia, al fine di mettere in pratica i suoi studi, sotto la direzione di valenti medici che operavano in questo ospedale. Oltretutto nello stesso ospedale, era canonico e priore un altro zio paterno, Michele Giacopetti. Giunto a Roma nel 1608 si applicò allo studio e alla pratica della medicina con serietà e passione fino a divenire in breve tempo un valente medico. Il caso volle che in quello stesso periodo, nel Santo Spirito, operasse il padre Camillo de Lellis che, dopo aver rinunciato al generalato e al governo dell’Ordine da lui fondato, aveva chiesto e ottenuto di poter assistere i malati, notte e giorno. Sull’esempio del p. Camillo cresce in lui la vocazione Vedendo l’ardore di carità che il p. Camillo poneva nell’assistere i malati, Giacomo e altri suoi colleghi medici quali: Lorenzo Morelli, Luigi Gens, Pietro Aragni, ne rimasero talmente conquistati che mostrarono al p. Camillo la loro volontà di entrare a far parte della sua famiglia religiosa. Il primo che si propose fu proprio Giacopetti il 7 marzo 1612, ma la sua conversione non fu così immediata, e per qualche tempo esitò a seguire la chiamata di Dio. Ma il disegno divino per condurre a sé l’anima pia del Giacopetti si rivelò nella grave malattia della malaria che lo colpì verso la fine del 1611. Vistosi prossimo alla fine il Giacopetti cominciò a riflettere sul senso della vita e sul come salvare la sua anima. Pur essendo stato sempre un uomo pio e irreprensibile, era comunque turbato per il fatto di non aver aderito alla chiamata di farsi religioso Ministro degli Infermi. Fece così voto al Signore che se si fosse salvato avrebbe abbracciato la religione del p. Camillo. Questo desiderio di imitare l’operato di p. Camillo divenne una vera e propria vocazione e senza rendersene conto, il medico Giacopetti era sempre più un vero Ministro degli Infermi. Malgrado il suo operato fosse stato sempre caratterizzato da una forte compassione verso i più deboli, ora Giacomo agiva verso loro con un sentimento di profondo rispetto “…quale si tributa a persone e cose sacre”. Iniziava così la seconda epoca della sua vita, come egli stesso sosteneva, la sua esistenza straordinaria, quella prodigiosamente avuta da Dio affinché la impiegasse tutta e solo per la Sua maggior gloria, a profitto dei poveri infermi. Dopo la sua vestizione religiosa del 20 marzo 1612 fu inviato a Napoli per il noviziato di due anni e dopo la sua professione fu richiamato a Roma dove assisté il Fondatore negli ultimi mesi di vita. Ebbe modo di esercitare le sue virtù di carità cristiana, continuando il suo operato seguendo l’esempio e gli insegnamenti di Camillo ancora una volta presso gli ospedali del Santo Spirito di Roma, poi presso gli Incurabili di Napoli. A Roma come vice maestro dei novizi, educava questi alla carità sul terreno pratico presso gli ospedali del S. Spirito, S. Giacomo e nelle infermerie delle carceri di Corte Savella e Tor di Nona, insegnando loro a compiere «volentieri e generosamente ogni fatica per sincero amor di Dio e accesa carità verso i poveri». Sempre a Roma, nel 1630, ancora una volta il fr. Giacopetti si sarebbe trovato in pericolo di vita miracolosamente scampando alla morte. In quell’anno, erano stati stabiliti gli «spurghi delle robe» per preservare la città dalla peste, fr. Giacopetti era stato il primo ad entrarvi ed aveva prestato l’opera sua per quasi due anni, fino a quando era stato colto da «acutissima febbre pestilenziale con violenti deliri, cui era seguito un mortale letargo».
Ristabilitosi, nel maggio del 1632 fu inviato a Genova, richiesto dal p. Ilario Cales. Il suo campo di lavoro prediletto fu l’Ospedale Maggiore detto Pammatone dove ebbe modo di mettere in pratica tutte le sue virtù che con impegno, generosità, sollecitudine, spontaneità metteva a disposizione con tutto il suo cuore al servizio degli infermi, come testimoniato da quanti lo conobbero. Una tra tante, la testimonianza della signora Veronica Semino, «Rettora» dell’Ospedale, di lui disse: « Del p. Giacopetti si può dire tutto il bene che può fare un huomo; non si dice mai troppo, né vi è pericolo di mentire. Egli era l’anima dell’Ospitale». Nel medesimo Ospedale aveva inoltre preso un’iniziativa di singolare impegno, quella cioè della «dispensa» per i malati poveri, ai quali provvedeva quei conforti che l’ospedale non poteva sopperire. Così per i convalescenti che, dimessi dall’ospedale, non potevano procurarsi da sé il necessario per ristabilirsi presto e bene, per mancanza di mezzi, fr. Giacopetti assicurava loro quanto poteva. Molti genovesi collaboravano volentieri con denaro e con roba per rifornire la dispensa, la quale continuò la sua attività, anche dopo la morte del fratello, per un secolo e mezzo, fino alle soglie dell’Ottocento. Sotto i generalati dei padri Grana e Albiti, era stato nominato, con breve pontificio del 23 aprile 1651, consultore generale, e confermato nella carica il 16 luglio 1652 e poi nel 1655. L’importante ufficio l’aveva obbligato a trasferirsi a Roma, che aveva alternato con prolungati soggiorni a Genova. Sua eroica morte nella pratica del quarto voto solenne. Quando nel 1656 scoppiò la spaventosa pestilenza che colpì Genova e non solo, tornò prontamente presso l’Ospedale dove lavorò senza risparmiarsi nel tentare di alleviare le pene dei poveri appestati e molto spesso accompagnandoli alla morte con devoti trattamenti, preghiere e parlando loro della celeste felicità, compenso generoso a tutti i mali della vita presente. Con il suo operato incoraggiava a perseverare anche difronte alla naturale paura di perdere la propria vita. L’11 luglio del 1656, lo stesso Martirio attendeva anche il nostro fr. Giacomo che fu colpito violentemente dallo stesso morbo che aveva coraggiosamente sfidato fino a quel momento. Trasferito dalla propria cella nella corsia dell’Infermeria accanto ai suoi amati ammalati, come aveva egli stesso predetto, spirò il 14 luglio, lo stesso giorno e alla stessa età del Padre Camillo di cui era stato sempre degno Figlio, vero discepolo e perfetto imitatore. Sua sepoltura Prova della sua santità di vita fu il fatto che Il corpo di fratel Giacopetti non fu sepolto nella fossa comune, ma « onorevolmente in luogo particolare depositato », e con un’epigrafe onorifica particolare.
In una lettera del 12 maggio del 1697 il provinciale dei Crociferi, Giovanni Calciati, usa queste formali parole a ricordo di Fr. Giacopetti: “… A dì 14 luglio il Fr Giacomo Giacopetti, Marchesano, dopo il corso di 50 anni di Religione, consumati nel servitio dei poveri, havendo predetto prima il giorno certo della sua morte, se ne volò al Cielo con segni di non ordinaria bontà, onde meritò dopo sua morte essere opportunamente depositato, lasciando che l’heroiche sue virtù sieno dalla fama stessa decantate”. Il 21 giugno 1671, per disposizione degli amministratori dell’ospedale, la salma venne trasferita in un nuovo sepolcreto, presso la «dispensa » del buon fratello. Finché nel 1881, durante dei lavori di ricostruzione e riparazione volute dalle nuove leggi dell’igiene, fu riscoperta la sepoltura nella quale si ritrovarono tutte le ossa contraddistinte dalla sola croce rossa già cucita all’abito. Nel 1897 il 7 ottobre, quelle benedette ossa furono solennemente trasportate nella chiesa dell’Annunziata in Portoria annessa all’Ospedale e tumulate nel pavimento della navata centrale, dove riposano tuttora.