Riformatore Camilliani
Al termine della sua vita il 20 luglio 1871, all’età di 88 anni, lasciò all’Ordine dei ‘Ministri degli Infermi’ (Camilliani) un’eredità spirituale e riformatrice che senza esitazione fu ritenuta importante come quella di s. Camillo de’ Lellis. Le guerre che già diverse volte avevano trovato gli uomini di s. Camillo compatti ed in prima linea sui vari fronti, a volte contrapposti, nel servizio ai feriti ed ai morenti, sul finire del secolo XVIII e nella prima metà del secolo XIX, sconvolgono l’Ordine. Eppure solo qualche anno prima esso aveva raggiunto il massimo della sua espansione, nel 1782 c’erano oltre 650 professi, tra cui 200 fratelli, 70 Case, sei province. Ma appena un anno dopo, l’Ordine dei ‘Ministri degli Infermi’ parve crollare: Illuminismo, correnti cesaropapiste, fermenti rivoluzionari, crearono un disorientamento e un’involuzione rapida, quasi improvvisa. L’Ordine si riduce a poche Comunità, le meno fiorenti, quasi nulle le vocazioni; nel 1788 il governo del Regno delle Due Sicilie rende impossibili i contatti tra il sud della Penisola e il nord e con la stessa Casa madre di Roma. Vengono separate da Roma le comunità del Sud, di Spagna, Portogallo, America Latina; se fosse scoppiata una delle ricorrenti epidemie, che videro sempre in prima linea i Camilliani, adesso non si sarebbe potuto far fronte, visto che i padri si erano ridotti in gruppetti sparuti, smarriti, sempre sotto la minaccia di una soppressione. Cosa che avverrà nel 1810 insieme ad altri Ordini religiosi, il padre Generale Michelangelo Toni verrà incarcerato e poi deportato a Parigi ed in Corsica e poi nell’Isola di Capraia. Nel 1814 viene liberato, ed il padre Toni inizia con il consenso di Pio VII una rinascita dell’Ordine, riallacciando tutti i contatti possibili con i confratelli dispersi, rianimando gli avviliti; alla sua morte nel 1821 erano risorte 22 Comunità. Questo piccolo “resto” dell’Ordine, deve far fronte nel 1835 in Italia, all’epidemia di colera, proveniente dall’India, seppure pochi, sono presenti come sempre in ogni lazzaretto, umili, attivi, pronti al dono della vita. E in questo periodo triste compare nell’Ordine una nuova figura, si tratta di un sacerdote diocesano di Verona, dove è nato nel 1783, don Cesare Bresciani; egli è impegnato nel lazzaretto veronese nell’assistenza ai colerosi colpiti dal morbo, giunto in città nel 1836. Legge con attenzione e passione la vita di s. Camillo de’ Lellis, la medita, non è facile da imitare ma ha un suo fascino travolgente; egli è professore, oratore, poeta e ha come s. Camillo, la passione per i poveri, gli ammalati, i sofferenti, per questo ha rinunciato ad una sicura carriera nel mondo della cultura ed ha distribuito il suo patrimonio. Fa parte della ‘Sacra Fratellanza dei Preti e Laici Spedalieri’, che raggruppa a Verona persone caritatevoli e spontanee, che assistono gratuitamente i malati nei loro bisogni spirituali e corporali. Una delle tante Istituzioni sorte per tutto l’Ottocento a Verona, fondate da tante belle figure maschili e femminili, oggi tutte avviate sulla strada della beatificazione e canonizzazione.
Anche don Cesare Bresciani crea intorno a sé un gruppo di sacerdoti, due studenti di filosofia, sei laici, vivendo in una piccola casa molto povera, i sacerdoti assistono spiritualmente gli ammalati, i laici come infermieri, giorno e notte a turni. Nel 1837 scrive al Generale dei Camilliani padre Togni, dichiarando “siamo camilliani senza averli veduti; la nostra Regola è la vita di s. Camillo che leggiamo ogni giorno, si può dire che la vocazione ci è venuta con la lettura. Lavoriamo giorno e notte, vestiamo e mangiamo poveramente”. L’intenzione è di confluire nell’Ordine di s. Camillo ma con qualcosa di nuovo; per questo occorrono i permessi del padre Generale a Roma, della Curia vescovile di Verona, della Santa Sede, del governo austriaco, essendo Verona facente parte dell’Impero d’Austria. A questo scopo si reca a Roma ad incontrare padre Togni, resta lì qualche tempo per conoscere le Costituzioni dell’Ordine, vede con i propri occhi l’opera dei religiosi negli Ospedali, ne scopre valori e lacune, meriti ed abusi. Dopo di ciò la decisione è presa, la fondazione di Verona dipenderà però da Roma, la Santa Sede ed il vescovo diocesano non si oppongono, ma nel 1839 mancava ancora il consenso del Governo austriaco. Intanto a 56 anni, và a Casale Monferrato per fare il noviziato, il periodo non fu felice, in quanto essendo di vocazione adulta e uomo abituato a prendere decisioni, si trovò in mezzo a novizi giovani ed inesperti, in cui la disciplina era considerata più un fine che un mezzo. Tornato a Verona, dovette impegnarsi a sbloccare la pratica dell’approvazione del Governo austriaco, ci riuscirà solo nel 1842; nel contempo bisognò superare tutte le incomprensioni che si erano generate fra la fondazione di Verona e la Curia Generalizia di Roma. Finalmente il 30 ottobre 1842 padre Scalabrini, nuovo Generale, recatosi a Verona a costatare di persona la situazione e le richieste, dà il via solenne alla Fondazione veronese, nomina don Bresciani superiore, il quale prende il nome di Camillo Cesare ed emette la professione nell’Ordine. Ha inizio un nuovo periodo fecondo: fondazioni nuove a Verona, Padova, Cremona, Mantova e tante nuove vocazioni. Nel suo tempo l’Ordine si era preso a privilegiare l’assistenza spirituale ai morenti anche a domicilio, a scapito dell’assistenza corporale, i fratelli tanto cari al cuore di s. Camillo, non avevano ragione d’essere. Padre Camillo Cesare Bresciani invece sentiva come esigenza irrinunciabile l’assistenza infermieristica ai malati negli ospedali, riprese l’antica istituzione degli Oblati che erano scomparsi, collaborò alla preparazione del personale degli ospedali; istituì un educandato per formare i giovanissimi aspiranti, prima di essere accolti come novizi; oggi presenti nella Casa di Santa Maria del Paradiso in Verona ed a S. Giuliano di Quinzano. L’Ordine venne messo a dura prova, ecco di nuovo il colera a Verona e con più forza a Quinzano; il tifo petecchiale fino al 1850; il colera di nuovo nel 1855; molti fratelli vi muoiono, i camilliani sono ancora presenti nelle guerre di Indipendenza sui due fronti, nel 1848, 1859, 1866, assistendo feriti e morenti, dove solo a S. Martino e Solforino, sono più di 4.000 in un solo giorno.
Padre Bresciani sempre lottando con tutti, per apportare innovazioni nei compiti e nell’organizzazione dei ‘Ministri degli Infermi’, sempre nello spirito di s. Camillo, ottiene l’autonomia da Roma della provincia camilliana lombardo-veneta, portando avanti così liberamente la riforma ideata. Ma nel 1866 interviene una nuova soppressione, questa volta da parte del Parlamento italiano, la conseguenza fu uno sbandamento generale con defezioni di padri e fratelli e fedeltà ad ogni costo dei più coraggiosi. Si prospetta la necessità dell’espansione dell’Ordine in altri Stati più permissivi e padre Bresciani ormai molto anziano, è favorevole e collabora a tale espansione, mentre segue con apprensione la situazione creatasi nel nuovo Regno d’Italia. Ma ormai non può più fare molto, il suo è un tramonto sofferente, ma nella pace di chi ha sempre cercato il disegno di Dio, la pietà verso i poveri e ammalati e l’armonia tra i religiosi. Muore a Verona il 20 luglio 1871; nei quadri dell’Ordine è raffigurato dopo s. Camillo, sempre in primo piano fra i servi di Dio e venerabili dell’Ordine Camilliano.