Il folle di Dio!
Come avrebbe agito in questa situazione fratel Ettore? Me lo sono chiesto più volte nel periodo della pandemia covid-19, quanto “lavoro” in più avrebbe avuto con i nuovi poveri che questa situazione ha prodotto. Sono sicuro che si sarebbe speso senza misura, come ha sempre fatto. Credo che da lassù abbia riso, riso tanto nel vedere tanti sacerdoti poco pratici di tecnologia cercare di smanettare con i social per essere vicini alla gente, perché lui, “il folle di Dio”, avrebbe agito diversamente. Sarebbe andato a cercarli i poveri, come esortava san Camillo, e si sarebbe ancora una volta consumato per i suoi.
Ettore Boschini, nasce nella frazione di Belvedere del comune di Roverbella in provincia di Mantova il 25 marzo 1928. La sua famiglia è una famiglia di agricoltori benestanti, purtroppo però a causa di una carestia, ben presto la famiglia di Ettore perde tutto, ed il piccolo Ettore, a 10 anni è costretto ad andare a lavorare presso altre aziende, lasciando gli studi e la sua fanciullezza. Il duro lavoro dei campi si farà sentire tutto con i vari problemi alle che si presenteranno più in avanti come ad esempio una brutta ernia del disco. Sulle orme del santo fondatore, Ettore, vive una adolescenza e una giovinezza, all’insegna del divertimento. Ettore insieme ai suoi amici avevano inventato un gioco per il suo linguaggio ricco di bestemmie: ogni 30 bestemmie 30 centesimi di premio. Ma la conversione arriva improvvisamente. Dopo la guerra, decide di partecipare ad un pellegrinaggio mariano, è li che scoprirà l’amore della sua vita, Maria. Sarà la sua compagna di viaggio, per tutta la vita. Nei milanesi è vivo il ricordo di questa macchina tutta “sgangherata”, con la statua della Madonna di Fatima legata sulla cappotta in giro per le strade di Milano, carica di speranze, sogni, disperazione, umanità.
A 24 anni un problema alla spalla lo costringe ad un lungo ricovero in ospedale, è li che si accorge della sua propensione a stare accanto agli ammalati. Una volta ritornato in salute il suo desiderio di consacrarsi è sempre più forte. Decide di consacrarsi tra i camilliani, perché servono i malati. È questo il suo desiderio! Dopo un primo incontro Ettore è carico di entusiasmo, e non vede l’ora di essere chiamato dal provinciale. La chiamata arriva e con l’entusiasmo che caratterizza il giovane Ettore, si parte: destinazione Alberoni, Venezia. In questi anni riesce a concludere la licenza media, e con tanti sacrifici e quasi 600 km al giorno riesce anche a prendere il diploma di infermiere generico. Quello che però non si aspetta è un incidente che coinvolge il padre e per questo Ettore è chiamato a tornare a casa, per occuparsi della sua famiglia.
Superato questo momento turbolento, quando ormai il suo papà può tornare ad occuparsi della famiglia e dei campi, i superiori lo assegnano quindi alla clinica San Camillo di Milano, senza sapere che così facendo gli fanno inaugurare una promettente e quanto mai ricca “stagione milanese”. Comincia, nei ritagli di tempo, a portare pentoloni di minestra ai barboni che hanno come punto di riferimento la stazione Centrale di Milano, ma è nella notte di Natale 1977 che la sua vita cambia radicalmente. Nella notte della nascita per eccellenza, rinasce anche la sua storia e la sua vocazione. Fratel Ettore quella notte cede le sue calze e le sue scarpe ad un barbone dai piedi quasi congelati, da quel momento si ingegnarà in tutti i modi che può, per essere accanto agli ultimi, agli ammalati, addirittura riesce a farsi dare dal capo-stazione della stazione centrale di Milano i sotterranei, che diventeranno porto sicuro per centinaia e centinaia di senza tetto, che d’ora in poi saranno la sua famiglia. I modi di fratel Ettore non erano del tutto “canonici” e per questo ha trovato anche tanto dissenso tra i suoi confratelli, ma non ha avuto paura non si è lasciato intimorire, il general dell’ordine p. Frank Monks mi, durante l’omelia che ha tenuto al suo funerale ha definito fratel Ettore una “spina nel fianco”, ma una spina nel fianco necessaria, per tutti i religiosi, ha infatti permesso di vedere alcune realtà che a volte preferiamo non vedere per non essere turbati. Poi, a poco a poco, si organizza e si amplia: dormitori, mense, dispensari, pronta accoglienza a Milano, Seveso, Bucchianico, Grottaferrata e, quando l’Italia non gli basta più, anche a Bogotà, in Colombia, perché i “poveri più poveri” ci sono dappertutto. Anche gli ambiti d’intervento si ampliano, al ritmo delle nuove povertà: dai barboni ai malati di AIDS, alle prostitute dell’Est, agli stranieri, magari irregolari, che devono vivere nell’ombra. Fratel Ettore è testardo nelle sue idee, spregiudicato nelle scelte, discutibile sui metodi, è andato avanti confidando nella provvidenza, sempre e comunque! E anche quando nella sua “follia” faceva il passo più lungo della gamba, la grazia di Dio era pronta ad intervenire con donazioni anche consistenti, perlopiù anonime, a volte superiori alle sue necessità. E il “di più” era per altre situazioni in cui occorreva essere presenti terremoti, guerre, calamità etc… Ha insegnato ai suoi poveri a prendersi cura dei più poveri, portandoli anche a lavorare dove c’è un’emergenza o una calamità. È questa la grande eredità che ci ha lasciato. Non era chiuso nel suo ambiente caritativo, è stato un precursore della “Chiesa in uscita” auspicata da Papa Francesco: sempre presente, sempre attivo, come per le ore di preghiera trascorse in ginocchio in Piazza del Duomo a Milano, durante la prima Guerra del Golfo.
Una leucemia fulminante lo ha strappato da questa terra il 20 agosto 2004, a 76 anni. Milano in quel fine estate rimase scossa per la perdita di quel testimone ‘scomodo’ dell’amore di Dio; in effetti tutti lo conoscevano e qualcuno lo definiva un matto, ma la notizia arrecò ai milanesi un vuoto terribile; fratel Ettore era infatti un uomo, un religioso, difficile da capire in questi tempi di diffuso egoismo, ma necessario ed efficace a far risvegliare le coscienze di quanti lo conoscevano. Le parole di padre Frank Monks mi, descrivono fratel Ettore senza tanti fronzoli con l’essenzialità e la concretezza tipiche di questo uomo, innamorato di Dio, innamorato di Maria, innamorato dei poveri: “Lui, come diceva san Camillo, aveva capito bene che i poveri non hanno bisogno di una predica sull’amore di Dio, ma piuttosto sperimentare questo amore per mezzo della nostra assistenza, fatta con “più cuore nelle mani”.
Postulazione
P. Walter Vinci, Postulatore
postulazione.generale@camilliani.org