Tutto ciò che ha menzionato nel capitolo precedente è più di un’asettica descrizione della realtà. È una provocazione all’agire poiché «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». Sono parole della Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, che non dovremmo mai dimenticare.
La Lettera enciclica Fratelli tutti di papa Francesco è rivolta a tutte le persone di buona volontà, al di là delle loro convinzioni religiose. E la parabola del buon samaritano è particolarmente adatta perché Gesù si esprime in modo tale che chiunque di noi può lasciarsene interpellare. «In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. Gli disse: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”. Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è mio prossimo?”. Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”. Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così”» (Lc 10,25-37).
Questa parabola ci rimanda al capitolo quarto del libro della Genesi. «Poco dopo la narrazione della creazione del mondo e dell’essere umano, la Bibbia presenta la sfida delle relazioni tra di noi. Caino elimina suo fratello Abele, e risuona la domanda di Dio: Dov’è Abele, tuo fratello? (Gen 4,9). La risposta è la stessa che spesso diamo noi: Sono forse io il custode di mio fratello? (n.57). Con la sua domanda, Dio mette in discussione ogni tentativo di giustificare l’indifferenza come unica risposta possibile. Ci provoca, al contrario, a creare una cultura diversa, che ci orienti a superare le inimicizie e a prenderci cura gli uni degli altri» (n.57).
Nelle tradizioni ebraiche l’antico precetto «amerai il tuo prossimo come te stesso» (Levitico 19,18) si intendeva ordinariamente riferito ai connazionali. Ma nel giudaismo sviluppatosi fuori dalla terra d’Israele, i confini si andarono ampliando. Comparve l’invito a non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te, come ci ricorda il libro di Tobia. Bella l’affermazione del Siracide: «La misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente» (18,13). Il desiderio di imitare gli atteggiamenti divini condusse a superare la tendenza a limitarsi ai più vicini. Riguarda il nostro rapporto con tutti. Nel Nuovo Testamento, Matteo lo sintetizza così: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti» (7,12). È un appello universale, che tende ad abbracciare tutti, solo per la loro condizione umana, perché l’Altissimo, il Padre celeste «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni» (Mt 5,45). E l’invito di Gesù è chiaro: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36).
Mi piace sottolineare che questo invito, che troviamo in Luca 6,36 e che Gesù rivolge ai suoi ascoltatori nel discorso della montagna, si diversifica dal passo corrispondente di Matteo 5,48 dove Gesù dice: «Siate perfetti, come perfetto è il Padre vostro». A dire il vero Gesù sta citando un comandamento della Legge «Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo», riportato dal libro del Levitico (19,2). In Matteo, l’essere santi – l’essere come è Dio – diventa l’essere perfetti (completi) come Dio che, per il terzo evangelista, corrisponde all’essere misericordiosi. Perciò, secondo Luca, l’attributo proprio di Dio, e che dovrebbe appartenere al cristiano e alla chiesa, è la misericordia, più che la perfezione. È questa la caratteristica principale della santità.